Il canto? Migliora le difese immunitarie
Il canto corale promuove anche il benessere fisico
A lungo considerato uno degli aspetti più misteriosi della vita umana, in particolare per la sua capacità di coinvolgerci emotivamente, il canto corale promuove anche il benessere fisico. Sono sempre più numerosi, infatti, gli studi ci permettono di andare oltre l’evidenza anedottica dei benefici dell’azione canora riportati da tutti i coristi.
Potenzia le difese immunitarie e solleva l’umore
Cantare anche solo per un’ora ha degli effetti visibili sul nostro sistema immunitario, come ha mostrato uno studio dei ricercatori del britannico Tenovus Cancer Care e del Royal College of Music. L’analisi dei campioni di saliva di 193 coristi dopo un’esecuzione canora ha rilevato una diminuzione dei livelli di cortisolo e grandi quantità di citochine infiammatorie. I bassi livelli di infiammazione nell’organismo potrebbero spiegare anche il miglioramento dell’umore determinato dalla pratica del canto e riferito dai coristi.
Tutti i soggetti coinvolti nello studio, pubblicato sulla rivista ECancer, erano tuttavia già amanti della musica e impegnati in attività corali. Ciononostante, scrivono gli autori, «questo studio fornisce delle evidenze preliminari che il canto migliora lo stato d’animo e modula i componenti del sistema immunitario». In particolare, in presenza di patologie oncologiche. Infatti, i coristi studiati erano malati oncologici o loro parenti e amici impegnati in attività di assistenza, i cosiddetti caregivers. Secondo i ricercatori, i risultati sono quindi alquanto promettenti e suggeriscono che cantare possa rivelarsi utile per tali pazienti, potenziando il sistema immunitario, riducendo notevolmente lo stress e migliorando l’umore.
Cantare come lo yoga
Richiedendo una respirazione regolare e controllata, il canto regola l’attività del cosiddetto nervo vago, che è coinvolto nella nostra vita emotiva e che ad esempio influisce sul nostro timbro vocale. Canzoni con lunghe frasi melodiche ottengono lo stesso effetto degli esercizi di respirazione in yoga, secondo gli autori di uno studio dell’Università di Gotenborg in Svezia, che mostra anche la sincronizzazione del battito cardiaco dei coristi nel corso dell’esecuzione dei brani.
Espressioni facciali e comprensione delle emozioni
Il canto aiuta i pazienti con sindrome di Parkinson affetti dalla sindrome della maschera, anche nota come «Poker Face». Il progressivo irrigidimento dei muscoli facciali rende questi soggetti amimici. L’incapacità di mostrare l’infinita gamma di emozioni tramite il volto, si pensi al corrugamento della fronte, il rimpicciolimento degli occhi dovuto al sorriso e la loro distensione dovuta alla sorpresa, li fa sembrare erroneamente freddi e distaccati.
Un volto statico, incapace anche di rispecchiare le emozioni altrui come naturalmente accade, non fa quindi che ostacolare la comunicazione interpersonale e contribuire a disconnettere questi pazienti dal mondo. I ricercatori dello Science of Music, Auditory Research and Technology Smart Lab della Ryerson University a Toronto, in collaborazione con la Royal Conservatory of Music, hanno scoperto che, cantando insieme in un coro, questi pazienti riacquistano la mimica facciale e l’effetto dura fino ai due mesi.
Un’arma contro l’isolamento
Secondo uno studio dell’Università del West of England a Bristol, condotto su pazienti afasici in seguito ad ictus o per la malattia di Parkinson, cantare in un coro può migliorare l’umore e anche la condizione di isolamento sociale determinato dalle difficoltà comunicative. Infatti, spiegano gli scienziati, «le persone con afasia anche quando non riescono più a parlare bene, spesso possono spesso ancora cantare. Le aree che controllano il linguaggio nel cervello sono diverse da quelle che controllano il canto. È davvero miracoloso guardare qualcuno, che non è stato in grado di parlare per mesi o per anni, iniziare a cantare».
Imparare a sentire, cantando
Nell’invecchiare, i musicisti vanno incontro a minor degradazione neurale del segnale sonoro e mantengono una maggior capacità di individuare negli ambienti rumorosi le varie voci e le variazioni dell’altezza del suono. Ma l’educazione musicale e il canto corale sono vantaggiosi anche per i soggetti con perdita dell’udito. Infatti, i risultati preliminari dei ricercatori canadesi mostrano, dopo solo 10 mesi di canto, significativi miglioramenti nella capacità di sentire una conversazione in ambiente rumoroso, la discriminazione delle altezze dei suoni e la risposta neurale ad essi, così come miglioramenti nell’attenzione. Interventi anche di breve periodo quindi potrebbero rivelarsi utili in caso di perdita dell’udito.
Benefici per la memoria
Cantando regolarmente è possibile rallentare il processo di decadimento cognitivo cui vanno incontro i pazienti con demenza. Un gruppo di ricercatori del Cognitive Brain Research Unit dell’Institute of Behavioural Sciences e del Finnish Centre of Interdisciplinary Music Research dell’Università di Helsinki ha sottoposto 89 pazienti e i loro caregivers a sessioni di canto e di ascolto musicale per un periodo di 10 settimane. La pratica del canto corale ha migliorato la memoria di lavoro, le funzioni esecutive e l’orientamento soprattutto nelle persone con demenza lieve e con un’età inferiore agli 80 anni, mentre l’ascolto della musica è stato associato a benefici cognitivi nei pazienti in stadi più avanzati della malattia. Infine, tanto il canto quanto l’ascolto della musica hanno determinato un miglioramento dell’umore.
In un’altra lingua è meglio
E se l’attività corale viene consigliata ai pazienti con demenza, per gli effetti sulla memoria, nuovi studi dimostrano come il canto faciliti nei bambini l’apprendimenti mnemonico di nuovi testi. E ciò è vero anche nel caso di una lingua straniera. Lo mostra uno studio condotto dagli psicologhi della University of Western Ontario in Canada che hanno chiesto ad un gruppo di piccoli equadoregni, parlanti spagnolo, di imparare un brano in inglese presentato sotto forma di poema orale oppure come testo di una canzone. Dopo due settimane di studio, coloro che l’avevano appreso cantando, ricordavamo più parole, pronunciavano meglio l’inglese e lo traducevano più correttamente di coloro che l’avevamo appreso sotto forma di poema orale. E questa miglior prestazione permaneva fino a sei mesi di distanza.
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